Tumore prostata, radioterapia utilizzata solo per un paziente su 4

In Italia la radioterapia risulta sottoutilizzata contro il tumore della prostata. Si calcola che solo un paziente su quattro riceve questa tipologia di trattamento che può curare, o anche cronicizzare, la neoplasia. Lo scarso ricorso alla terapia può essere dovuto ad alcune difficoltà logistiche come i tempi d’attesa molto lunghi o l’eccessiva distanza dall’ospedale. Oppure dal mancato approccio multidisciplinare al paziente interessato dal tumore maschile più diffuso e frequente nel nostro Paese. E’ quanto si legge in un capitolo del 15° Rapporto sulla Condizione Assistenziale dei Malati Oncologici, presentato nei giorni scorsi nell’ambito della XVIII Giornata Nazionale del Malato Oncologico promossa da FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia). “Il carcinoma alla prostata colpisce ogni anno oltre 40mila uomini in Italia – sottolinea Francesco De Lorenzo, Presidente FAVO -. Oltre il 90% dei pazienti è vivo a cinque anni ma l’incidenza è in continua crescita e solo lo scorso anno abbiamo registrato più di 7.200 decessi. Diagnosi precoci e trattamenti innovativi sono fondamentali per riuscire a garantire una maggiore aspettativa di vita ai pazienti. La ricerca scientifica ha infatti reso disponibili nuovi ed efficaci strumenti ai clinici. Va tuttavia incentivata la multidisciplinarietà e quindi la collaborazione strutturale tra diversi specialisti. Rimane questo l’approccio migliore nel contrasto a tutte le forme di tumore urologico”. “La radioterapia di alta precisione offre al paziente trattamenti sicuri, veloci ed efficaci e con un rapporto tra costo e beneficio molto favorevole – aggiunge la Prof.ssa Barbara Jereczek, Direttore della Divisione di Radioterapia presso l’IEO di Milano -. Negli ultimi anni abbiamo visto un grande sviluppo tecnologico che ne ha migliorato in modo significato la tossicità. Rappresenta senza dubbio una premessa per il continuo perfezionamento delle cure nel trattamento del tumore prostatico.  E’ inoltre indicata in tutte le fasi della patologia e può essere utilizzata da sola o associata ad altre modalità terapeutiche. Proprio il suo frequente utilizzo in combinazione ad altre terapie rende necessaria la multidisciplinarietà che consente una selezione migliore delle terapie e favorisce anche il dialogo con il paziente”.